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Crisi energetica: spunti di riflessione sul diritto dei contratti30 June 2022

La crisi energetica, come già aveva fatto la pandemia, sta offrendo degli importanti spunti di riflessione per la gestione delle sopravvenienze nei contratti di durata e sta evidenziando l’inadeguatezza dei rimedi normativi rispetto ad emergenze di portata globale.

"Allo stato, a fronte delle esperienze di questi mesi, diviene quindi particolarmente rilevante redigere con maggiore cautela i contratti, in modo da predisporre dei meccanismi adeguati alla gestione delle successive sopravvenienze."

In questi ultimi mesi la crisi energetica è diventata uno dei principali argomenti dell’attualità, soprattutto a seguito dello scoppio della guerra in Ucraina.

In realtà ben prima dell’avvio del conflitto, i prezzi dell’energia elettrica e soprattutto del gas naturale hanno visto un aumento del tutto imprevisto, rispetto all’andamento del mercato degli ultimi anni. Tale aumento dei corrispettivi è stato accompagnato da una crescita importante della domanda di energia, dovuta a diversi fattori. Gli operatori del settore (sia grossisti che fornitori di energia alla clientela finale) si sono trovati, pertanto, contestualmente a dover fornire quantitativi di energia maggiori rispetto a quelli preventivati, approvvigionandosi a condizioni di mercato ben più gravose di quelle presenti al momento della stipula degli accordi e spesso perdendo completamente la marginalità sulle vendite.

Il nostro sistema a fronte di eventi che alterano in maniera profonda l’equilibrio contrattuale, senza tuttavia rendere la prestazione di una delle parti giuridicamente o fisicamente impossibile, prevede lo strumento della risoluzione contrattuale per eccessiva onerosità sopravvenuta di cui agli articoli 1467 ss. cod.civ.

La parte che vede aumentare il costo della propria prestazione in misura eccedente la normale alea contrattuale, potrà cessare in via anticipata la relazione contrattuale, a meno che la controparte non offra di ricondurre le prestazioni ad equità.

La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta presenta tuttavia due principali criticità per gli operatori che se ne vogliano avvalere: (i) è un rimedio caducatorio, non permette quindi di proseguire la relazione contrattuale (ii) è una risoluzione giudiziale, la cui dichiarazione dovrà avvenire con decisione di un giudice; i tempi necessari per la pronuncia giudiziale rischiano evidentemente di vanificare i benefici del rimedio. Ciò è particolarmente evidente proprio con riferimento alla crisi energetica, in cui l’estrema volatilità dei prezzi e l’aumento importante delle perdite per alcuni operatori richiedono strumenti di rapida applicazione.

Proprio a fronte della difficoltà (rectius sovente impossibilità) di ricorrere alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta nel contesto all’eccezionalità dell’attuale contesto di mercato, molti operatori hanno tentato di rinegoziare gli accordi in corso (soprattutto i grossisti con i rivenditori, o questi ultimi con i grandi clienti industriali), non sempre riuscendovi.

A seguito della pandemia da Covid-19, si è infatti rafforzato l’orientamento che impone alle parti un obbligo di rinegoziare le condizioni dell’accordo, ove le prestazioni di una delle parti siano divenute eccessivamente onerose per effetto di eventi straordinari e imprevedibili, sulla base dei principi di buona fede ed equità. La Corte di Cassazione con una relazione dell’8 luglio 2020, ha fornito un quadro della gestione delle sopravvenienze contrattuali, evidenziando l’esistenza di un obbligo di rinegoziazione dei contratti di durata, ove degli eventi sperequativi abbiano alterato sostanzialmente l’equilibrio negoziale originario. Nei contratti di lunga durata vi sarebbe – ad avviso della Corte – una sorta di clausola di rinegoziazione sottesa.

L’obbligo di rinegoziare impone di intavolare nuove trattative e di condurle correttamente. La parte che non risulta svantaggiata a seguito degli eventi sopravvenuti non potrà tuttavia essere obbligata a concludere un contratto modificativo. Il fornitore pertanto non potrà imporre al cliente le proprie condizioni, ma potrà solo pretendere che vengano svolte trattative corrette e non maliziose (quindi accompagnate da una seria intenzione di rivedere i termini contrattuali). Comprendere ove una parte sia o meno inadempiente rispetto all’obbligo di rinegoziazione non è sempre agevole e le trattative richiedono sovente un supporto legale.

La Corte ha altresì affrontato il tema del mancato raggiungimento dell’accordo modificativo e dell’eventuale intervento del giudice per rideterminare il regolamento contrattuale, a fronte di un rapporto che è divenuto iniquo.

La possibilità di ottenere una rideterminazione del contratto da parte del giudice sarebbe sicuramente un rimedio particolarmente efficace per il fornitore, il quale si potrebbe anche avvalere di una tutela in via di urgenza ex art. 700 c.p.c. Tuttavia, la posizione dei giudici di merito non sempre risulta favorevole a tale apertura, che viene vista come una revisione dei principi fondamentali in materia di contratti.

La crisi energetica – come già aveva fatto il Covid-19- sta offrendo degli ulteriori spunti di riflessione per la gestione delle sopravvenienze nei contratti di durata e sta evidenziando l’inadeguatezza dei rimedi normativi rispetto ad emergenze di portata globale e a una realtà economica ben più dinamica di quella ipotizzata nel codice civile. Pur in presenza di tentativi di apertura, il quadro giurisprudenziale non offre tuttavia ancora una tutela adeguata alla parte che risulti svantaggiata a seguito di eventi sopravvenuti straordinari. Allo stato, a fronte delle esperienze di questi mesi, diviene quindi particolarmente rilevante redigere con maggiore cautela i contratti, in modo da predisporre dei meccanismi adeguati alla gestione delle successive sopravvenienze.

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