< Back to insights hub

Article

Aggiornamenti settimanali sul Diritto del Lavoro in Italia21 March 2024

WEEKLY ITALIAN LABOUR UPDATES

"Se supera notevolmente l’orario massimo, lo straordinario continuativo apre le porte al danno da stress."

Nuova pronuncia sulla legittimità costituzionale del Decreto del Jobs Act sulle tutele crescenti
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale della norma del Decreto sulle tutele crescenti (art. 1, comma 3, D.Lgs. 23/2015) che prevede l’applicazione del regime indennitario crescente in base all’anzianità di servizio anche ai vecchi assunti (ovvero lavoratori assunti prima del 7/3/2015), allorquando la soglia dimensionale per l’applicazione dell’art. 18 Stat. Lav. (più di 15 dipendenti nell’unità produttiva o di 60 complessivamente) sia stata raggiunta dopo l’entrata in vigore del predetto Decreto. Il Jobs Act (art. 1, comma 7, lett. c), Legge 183/2014) aveva legittimato un assetto a doppio binario per cui ai lavoratori protetti dall’art. 18 Stat. Lav. e già assunti prima del 7/3/2015 continuava ad applicarsi la predetta disciplina, mentre ai nuovi assunti si andava ad applicare il meccanismo risarcitorio a tutele crescenti. È compatibile con lo scopo del Jobs Act – che si prefiggeva di contrastare la disoccupazione giovanile e incentivare nuove assunzioni stabili – la previsione del Decreto 23/2015 per cui il meccanismo delle tutele crescenti si applica anche ai vecchi assunti, quando i requisiti dimensionali per l’applicazione della tutela reale di cui all’art. 18 Stat. Lav. sono insorti in data successiva.
Corte Costituzionale, 19/03/2024 n. 44

Rinuncia datoriale al preavviso di dimissioni e assenza di credito del lavoratore all’indennità sostituiva
A fronte delle dimissioni rese dal lavoratore con disponibilità a prestare in servizio il periodo di preavviso, l’opzione del datore di lavoro per l’interruzione immediata del rapporto non determina alcun diritto del dipendente al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso. La funzione del periodo di preavviso è di attenuare le conseguenze pregiudizievoli della cessazione del rapporto di lavoro per la parte che subisce il recesso. In questo schema, il preavviso delle dimissioni è posto a tutela del datore di lavoro e la rinuncia di quest’ultimo ad avvalersene non può generare un corrispondente credito del lavoratore all’indennità economica sostitutiva. Il preavviso ha, del resto, natura obbligatoria e il lavoratore ha davanti due scenari alternativi: vi adempie mettendosi a disposizione del datore per rendere la prestazione o interrompe immediatamente il rapporto e versa al datore l’indennità economica di mancato preavviso. In un caso come nell’altro, il datore è creditore della prestazione e la decisione di rinunciarvi non genera alcun credito del lavoratore. Se il datore rinuncia al periodo di preavviso, dunque, al lavoratore dimissionario non compete l’indennità economica di mancato preavviso.
Cass. (ord.) 14/03/2024 n. 6782

Sintesi INL sulle recenti misure del Decreto PNRR-bis in materia di lavoro e legislazione sociale
L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito una prima lettura delle misure lavoristiche e previdenziali introdotte dal recentissimo Decreto-Legge PNRR-bis (DL 02/03/2024 n. 19), segnalando che sono state inasprite le sanzioni per intermediazione illecita di manodopera, omissioni ed evasioni contributive e lavoro nero. Nella propria sintesi, l’Ispettorato si concentra, tra l’altro, sui seguenti istituti: (i) al personale impiegato nell’appalto (incluso il subappalto) deve essere riconosciuto un “trattamento economico complessivo” non inferiore a quello previsto dal CCNL e dall’accordo collettivo territoriale “maggiormente applicati” nel settore e per la zona, il cui ambito di applicazione è strettamente connesso con l’attività che costituisce oggetto dell’appalto; (ii) la responsabilità solidale retributiva e contributiva del committente (ex art. 29, comma 3, D.Lgs. 276/2003) si applica anche alle ipotesi di illiceità del distacco e della somministrazione di manodopera; (iii) viene rilasciato un attestato di conformità all’impresa laddove, all’esito di accertamenti ispettivi, non siano state riscontrate violazioni o irregolarità in materia di lavoro e legislazione sociale, con iscrizione dell’impresa medesima (previo consenso) in apposito elenco informatico denominato “lista di conformità INL”.
Ispettorato Nazionale del Lavoro, Nota 13/03/2024 n. 521

Buste paga e certificazione unica non provano il pagamento della retribuzione
Le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore, se munite alternativamente della firma, della sigla o del timbro del datore di lavoro, hanno piena efficacia probatoria del credito insinuato al passivo fallimentare, salvo eventuali contestazioni da parte del curatore mediante altri mezzi di prova o con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza. Le buste paga e la certificazione unica (ex c.u.d.) fanno prova contro il datore di lavoro, in quanto integrano i requisiti di prova documentale richiesti ai fini della opponibilità della prova scritta di un credito nei confronti del fallimento (art. 2740 c.c.). Ne consegue che, in mancanza di un atto di quietanza da parte del lavoratore-creditore, le buste paga e le certificazioni unica non costituiscono prova del pagamento del credito riportato nei medesimi documenti, posto che gli stessi sono di provenienza del datore di lavoro e non possono costituire prova in favore di chi li ha redatti, né determinare l’inversione dell’onere della prova in caso di contestazione.
Cass., 18/03/2024 n. 7186

Licenziamento per superamento del comporto e ripresa dell’attività lavorativa
In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, il datore di lavoro ha la facoltà di attendere il rientro del lavoratore dal congedo per malattia al fine di sperimentare in concreto se residuino margini di riutilizzo del medesimo lavoratore all’interno dell’assetto organizzativo dell’impresa. In altre parole, l’interesse del lavoratore a conoscere le sorti del proprio rapporto di lavoro va contemperato con il necessario riconoscimento di un ragionevole spatium deliberandi in favore del datore di lavoro, perché egli possa valutare la convenienza ed utilità della prosecuzione del rapporto di lavoro. Inoltre, il solo fatto che il lavoratore sia rientrato al lavoro senza che sia immediatamente intervenuto il licenziamento non è, di per sé, circostanza inequivocabilmente sintomatica di una rinuncia al potere di licenziare. Ne deriva che l’inerzia datoriale nel recedere dal rapporto costituisce rinuncia del potere di licenziamento e, quindi, ingenera un corrispondente incolpevole affidamento nel lavoratore, solo qualora essa intervenga a decorrere dal rientro in servizio del lavoratore e per un periodo di tempo sufficientemente prolungato. La durata dell’inerzia datoriale, ai fini della valutazione sulla legittimità del licenziamento per superamento del periodo massimo di malattia, non è predeterminabile in misura fissa, ma va sottoposta a una valutazione di congruità sulla base delle circostanze del caso concreto.
Cass. (ord.) 12/03/2024 n. 6466

Utilizzo improprio dei c.d. “permessi 104” e licenziamento per giusta causa
L’assenza dal lavoro per la fruizione dei permessi previsti dall’art. 33, L. n. 104/1992, deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile. Ove manchi il nesso tra l’assenza dal lavoro e l’assistenza al disabile, si è in presenza di un abuso del diritto o, secondo altra prospettiva, di una grave violazione da parte del lavoratore dei doveri di buona fede e correttezza sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Inps. Tale violazione può costituire una giusta causa di licenziamento. A tal fine, l’avvenuta fruizione dei permessi per finalità estranee all’assistenza al disabile può essere accertata dal datore di lavoro anche tramite il ricorso ad agenzie investigative. Invero, questa modalità di controllo è legittima laddove non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa, ma sia finalizzata a verificare comportamenti che possano integrare attività fraudolente, come l’utilizzo improprio dei permessi riconosciuti dalla legge per prestare assistenza a un disabile.
Cass. (ord.) 12/03/2024 n. 6468

Legittimità dello sciopero conseguente al rifiuto di allontanare un lavoratore violento
È legittimo lo sciopero proclamato da una sigla sindacale perché l’imprenditore aveva rifiutato la richiesta di allontanamento dal turno di un lavoratore, appartenente ad un’altra sigla sindacale, per condotte minacciose e violente verso i colleghi di lavoro. Tale motivazione ricade nella tutela dell’interesse collettivo alla sicurezza sul posto di lavoro e all’incolumità dei lavoratori. L’esercizio del diritto di sciopero è uno strumento di autotutela collettivo e non risulta illecito se pregiudica la produzione in sé. Lo sciopero è, invece, illecito se pregiudica la possibilità per l’imprenditore di continuare a svolgere la sua iniziativa economica, ovvero se comporta la distruzione degli impianti o una loro duratura inutilizzabilità, ovvero se arreca pericolo all’incolumità delle persone. Non ricorrendo queste condizioni, la partecipazione allo sciopero da parte dei lavoratori per protestare contro l’allontanamento del collega violento non costituisce condotta disciplinarmente censurabile.
Cass. (ord.) 14/03/2024 n. 6787

Superamento sistematico dell’orario di lavoro massimo e risarcibilità del danno da stress
Lo svolgimento di una prestazione lavorativa che si protrae, con carattere sistematico, di gran lunga oltre i limiti orari previsti dalla legge e dal contratto collettivo determinata un danno da stress risarcibile. Il danno da stress rientra nella categoria del danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, che si configura a carico del datore di lavoro per non aver assicurato e garantito il diritto del lavoratore al riposo. Inoltre, il danno da stress è presunto ogni volta che, alla luce delle circostanze concrete, emerga un inadempimento di gravità sufficiente a comprimere il diritto dei lavoratori al riposo. In applicazione di questi principi, ricorre il danno da stress, e si presume la sua riconducibilità ad inadempimento datoriale, quando il lavoratore ha svolto in media oltre 8 ore di straordinario settimanali, pari a oltre 388 ore di straordinario su base annua. Poiché il CCNL prevede un massimo di 250 ore di straordinario annuali, il superamento della soglia appare consistente e sistematico, determinando a carico del datore un risarcimento pari ad €1,50 per ogni ora di straordinario annuale oltre la soglia delle 250 ore massime di cui al CCNL.
Trib. Padova, 06.03.2024 n. 171

< Back to insights hub