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"Il datore ha il dovere di adottare misure che prevengano le molestie sul posto di lavoro."
Istruzioni Inps sull’accesso alla NASpI
Per effetto della modifica dell’art. 3 del D.Lgs. 22/2015, il lavoratore che renda le dimissioni volontarie da un rapporto a tempo indeterminato e, nei dodici mesi successivi, perda un altro impiego per motivi estranei alla propria volontà accede alla NASpI solo se ha maturato almeno 13 settimane di contribuzione tra la cessazione volontaria e quella involontaria (si tratta di un requisito più stringente di quello ordinario per cui le 13 settimane per accedere alla NASpI devono essere maturate nei 4 anni precedenti la disoccupazione). L’Inps precisa adesso che il nuovo regime si applica solo agli eventi di disoccupazione involontaria (ovvero la perdita del nuovo lavoro dopo le precedenti dimissioni) avvenuti a partire dall’1/1/2025 e solo se nei 12 mesi precedenti vi sia stata una cessazione volontaria da un rapporto a tempo indeterminato (o la scadenza di un rapporto a termine). Per il calcolo delle 13 settimane rilevano le settimane retribuite con contribuzione piena, i contributi figurativi per maternità e congedi parentali in costanza di rapporto, i periodi di lavoro all’estero nei Paesi convenzionati e anche alcuni periodi di astensione per malattia dei figli. L’Inps precisa anche alcune esclusioni dal nuovo più stringente regime di accesso alla NASpI in caso di dimissioni per giusta causa (anche quando siano motivate da un trasferimento aziendale privo di reali esigenze organizzative), dimissioni durante il periodo tutelato della maternità o paternità, risoluzioni consensuali avvenute nell’ambito della procedura di conciliazione (ex art. 7, Legge 604/1966) e dimissioni per rifiuto del trasferimento a una sede distante oltre 50 km dalla propria residenza o difficilmente raggiungibile con i mezzi pubblici.
INPS, Circolare 05/06/2025 n. 98
Nuova funzionalità sugli attestati di malattia
Dal 15 luglio 2025 l’attestato di malattia inviato dall’Inps al datore di lavoro in formato Xml indicherà, oltre ai dati consueti, se la visita è stata effettuata a domicilio, in ambulatorio o in pronto soccorso. Si ricorda che i dati sugli attestati di malattia sono comunicati quotidianamente dall’Inps ai datori di lavoro (o loro intermediari) mediante file in formato Xml e Txt e, quindi, trasmessi per posta elettronica certificata (PEC) o scaricabili accedendo al servizio online di consultazione degli attestati di malattia. Si aggiunge adesso una nuova funzionalità con il campo “tipo visita” presente nell’attestato di malattia trasmesso su file in formato Xml. In questo modo il datore saprà se il certificato di malattia è stato redatto dal medico curante (tramite visita domiciliare o ambulatoriale) o a seguito di visita al pronto soccorso. È un’informazione rilevante, perché alla regola per cui il certificato di malattia ha validità dalla data di emissione ai fini dell’indennità previdenziale, in caso di visita domiciliare la copertura può operare dal giorno precedente alla data di redazione dell’attestato.
INPS, Messaggio 05/06/2025 n. 1773
Legittimo l’interrogatorio a sorpresa del lavoratore prima della contestazione disciplinare
È legittimo il comportamento del datore di lavoro che, prima di dare impulso all’azione disciplinare contro il manager, effettua un interrogatorio preventivo a sorpresa e senza preavviso nei confronti del manager medesimo sulle stesse vicende che hanno poi costituito il fondamento del procedimento disciplinare. L’interrogatorio preventivo a sorpresa ha, infatti, la funzione di consentire al datore l’accertamento dei fatti e l’individuazione del soggetto cui attribuirli. Non è corretta la tesi per cui l’interrogatorio preventivo leda il diritto di difesa del dipendente, impedendogli di usufruire già in fase di accertamenti preliminari delle garanzie previste dal procedimento disciplinare. Le indagini preliminari che il datore svolge per appurare se siano stati commessi atti disciplinarmente rilevanti può includere anche l’interrogatorio del lavoratore oggetto di indagine e tale iniziativa può legittimamente precedere l’avvio della successiva azione disciplinare.
Cass. (ord.) 04/06/2025 n. 15027
Piani di azionariato diffuso ed esclusione dei lavoratori a termine
I piani di azionariato diffuso (disciplinati dall’art. 51, comma 2, lett. g), del TUIR) sono uno strumento che le società adottano per incentivare e fidelizzare i dipendenti in un’ottica di allineamento degli interessi tra lavoratori e azionisti. Per godere del regime agevolato (esclusione dal reddito imponibile del valore delle azioni offerte ai dipendenti entro un limite massimo annuale di €2.065,83) vanno soddisfatte alcune condizioni, tra cui l’offerta datoriale del piano azionario alla “generalità dei dipendenti”. L’Agenzia delle Entrate chiarisce che la nozione è correttamente applicata se il piano riguarda tutti i dipendenti della società con esclusione dei lavoratori con contratto a tempo determinato e dei dirigenti con responsabilità strategiche. L’Agenzia osserva che il requisito della “generalità dei dipendenti” deve essere interpretato in modo estensivo e non rigido, evitando fenomeni di elusione fiscale e di discriminazione tra dipendenti. Escludendo i dirigenti apicali non si viola il precetto di legge, in quanto l’esclusione si giustifica con l’assolvimento di obblighi normativi e regolamentari propri della governance societaria delle società quotate. Anche per i lavoratori a termine l’esclusione è giustificata, in quanto il concetto di “generalità” fa riferimento ai dipendenti con contratto a tempo indeterminato e, inoltre, il piano di azionariato diffuso agevolato può essere limitato a “categorie di dipendenti”.
Agenzia delle Entrate, Risposta ad Interpello 04/06/2025 n. 147
Valida l’impugnazione del licenziamento tramite PEC
L’impugnazione del licenziamento tramite posta elettronica certificata (PEC) ha la medesima “efficacia di certezza di una raccomandata cartacea con avviso di ricevimento”. Ai sensi dell’articolo 6, Legge 604/1966 il requisito della impugnazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario di un qualsiasi atto scritto avente contenuto idoneo a comunicare l’intenzione del lavoratore di impugnare il licenziamento, a condizione che esso sia con certezza riferibile al medesimo lavoratore. Pertanto, anche l’invio tramite PEC con allegato un file formato word è idoneo a soddisfare il requisito di validità dell’impugnazione del licenziamento. Se il lavoratore ha successivamente impugnato anche tramite raccomandata, occorre fare comunque riferimento al precedente invio tramite PEC per verificare il rispetto del termine di decadenza giudiziale (180 giorni) per il deposito del ricorso al tribunale del lavoro.
Corte d’Appello Bologna 29/04/2025 n. 223
La tardività della contestazione disciplinare comporta la tutela indennitaria
Per i lavoratori c.d. “vecchi assunti” la legge (art. 18, comma 4, Legge 300/1970) prevede l’applicazione della tutela reintegratoria con indennità fino a un massimo di 12 mensilità, nell’ipotesi in cui il fatto contestato e posto a fondamento del licenziamento disciplinare sia insussistente. Tale ipotesi non ricorre in caso di violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare. Infatti, nel caso in cui il procedimento disciplinare conclusosi con il licenziamento sia stato avviato con un ritardo tale da ingenerare nel lavoratore il legittimo affidamento circa l’irrilevanza disciplinare delle condotte contestate, il lavoratore ha diritto esclusivamente alla tutela indennitaria (art. 18, comma 5, Legge 300/1970) per un importo ricompreso tra le 12 e le 24 mensilità.
Cass. (ord.) 27/05/2025 n. 14172
Risarcimento danni per violazione clausole elastiche sul part-time solo con prova
La mancata indicazione dei turni di lavoro nel contratto part-time e l’assegnazione di orari di lavoro variabili non regolamentati da una clausola elastica non comportano il diritto del lavoratore ad un risarcimento del danno esistenziale, se non è provato che la turnazione oraria seguita dal datore ha avuto un impatto nocivo sulla vita di relazione del dipendente. Non è sufficiente, infatti, che il lavoratore provi una distribuzione dell’orario part-time in spregio alle limitazioni fissate dalla legge (art. 4, Decreto-Legislativo 81/2015) perché possa vantare i danni alla propria libertà di autodeterminazione dei tempi di vita e di lavoro. Il danno alla vita di relazione non è in re ipsa. Fermo il diritto alle maggiorazioni retributive per lavoro supplementare/straordinario durante il rapporto part-time, eventuali danni ulteriori alla libertà di autodeterminazione dei tempi di vita e di lavoro devono essere specificamente dedotti e comprovati.
Trib. Bologna 27/05/2025 n. 669
Uso del termine “contratto pirata” per definire il CCNL non è diffamatorio
Non è diffamatorio definire come “pirata” un contratto collettivo nazionale di lavoro firmato da organizzazioni sindacali che non sono comparativamente più rappresentative a livello nazionale. Pertanto, non costituisce condotta antisindacale l’affissione su una bacheca elettronica aziendale, da parte del componente della RSU, di un volantino dal titolo “Quei bravi ragazzi ovvero contratto pirata Cisal per i call center”. Il titolo non eccede i limiti della critica sindacale e l’utilizzo dell’espressione “contratto pirata” per definire il CCNL firmato da associazioni sindacali minoritarie costituisce una legittima locuzione, diffusa nel lessico giuslavoristico per identificare i contratti collettivi che offrono ai lavoratori un quadro di tutele inferiori agli standard consolidati. Il ricorso al termine “contratto pirata” è legittimo, anche se ha una connotazione negativa, perché rientra nella libertà di manifestazione del pensiero e nella dialettica sindacale.
Trib. Roma (ord.) 14/03/2025
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