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Aggiornamenti settimanali sul Diritto del Lavoro in Italia18 April 2024

WEEKLY ITALIAN LABOUR UPDATES

"“Il rifiuto del lavoratore di passare dal tempo pieno al part time, o viceversa, non può costituire giustificato motivo di licenziamento."

I prodotti aziendale offerti in omaggio ai dipendenti sono reddito di lavoro dipendente
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che, sebbene i beni di produzione aziendale offerti in omaggio dal datore di lavoro a tutti i dipendenti (nel caso di specie, un sacchetto di caffè selezionato al mese, una bevanda gratuita al giorno da consumare durante la pausa pranzo e prodotti di merchandising in occasione di festività o eventi aziendali) abbiano una finalità di business, di marketing e di promozione e diffusione dell’immagine aziendale sia sul luogo di lavoro (caffetteria) sia all’esterno, costituiscono reddito di lavoro dipendente se il loro valore supera l’importo esente di €258,23. A questa conclusione si perviene in quanto gli omaggi offerti a tutti i dipendenti, per quanto rientrino nella strategia aziendale, non possono considerarsi di esclusivo interesse del datore di lavoro, perché allo stesso tempo soddisfano un’esigenza personale del singolo lavoratore (ad esempio, prendere un caffè al bisogno o decidere di non fruire dei prodotti in omaggio in assenza di specifici obblighi contrattuali da parte del datore) e rappresentano un suo arricchimento (ad esempio, i prodotti di merchandising).
Agenzia delle Entrate, Risposta a Interpello n. 89/2024

Illegittimo ricorso alla cassa integrazione e risarcimento del danno professionale
L’uso illegittimo della cassa integrazione guadagni comporta a favore della lavoratrice sospesa a zero ore per effetto di un utilizzo irregolare dei criteri scelta, oltre al pagamento della retribuzione mensile piena perduta per via del trattamento di integrazione salariale, il risarcimento del danno alla professionalità. La quantificazione del danno alla professionalità potrà avvenire attraverso una percentuale della retribuzione mensile per il periodo in cui si è protratta la sospensione in cassa integrazione. La forzata inattività che deriva dalla sospensione a zero ore può determinare un danno alla professionalità, perché il mancato esercizio della prestazione lavorativa lede l’immagine del dipendente e comporta un impoverimento del suo patrimonio professionale, laddove si protragga per un lasso di tempo consistente. Il danno da inattività per cassa integrazione non è diverso, in definitiva, dal danno da svuotamento delle mansioni (ex art. 2103 c.c.) e soggiace alle stesse dinamiche probatorie. Pertanto, se il lavoratore allega elementi presuntivi a supporto del depauperamento professionale, ha diritto al risarcimento del danno anche in caso di illegittima sospensione a zero ore in cassa integrazione.
Cass. (ord.) 16/04/2024 n. 10267

Licenziamento per inidoneità fisica e reintegra per mancato repêchage
I presupposti del licenziamento per inidoneità fisica sono: il sopravvenuto stato di inidoneità del lavoratore, l’impossibilità di adibirlo a mansioni, anche inferiori, compatibili con il suo stato di salute (c.d. repêchage) e l’impossibilità di adottare accomodamenti organizzativi ragionevoli. Per dimostrare l’assolvimento dell’obbligo di repêchage il datore di lavoro deve provare che tutti i posti di lavoro erano occupati al momento del licenziamento e che successivamente non sono state effettuate assunzioni in posizioni compatibili con lo stato di salute del lavoratore licenziato. L’accertamento in giudizio della violazione dell’obbligo di repêchage si traduce nell’insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento, con conseguente reintegrazione del lavoratore e risarcimento danni.
Cass. (ord.) 12/04/2024 n. 9937

Obbligo di adottare le misure di sicurezza non tipizzate e concorso di colpa del lavoratore nell’infortunio
Il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a preservare l’integrità psicofisica dei lavoratori, tenuto conto delle caratteristiche del luogo di lavoro e, in generale, della realtà aziendale. Tale obbligo impone l’adozione, da un lato, delle cautele tipizzate da norme o regolamenti (ad esempio, l’utilizzo dei DPI in cantiere) e, d’altro lato, delle misure che, seppur non tipizzate, sono necessarie alla luce delle conoscenze tecniche e dell’esperienza del momento storico in cui viene eseguita la prestazione lavorativa. Inoltre, anche rispetto alle misure di sicurezza non tipizzate, il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio qualora il lavoratore, pur avendo violato le norme antinfortunistiche, non abbia posto in essere una condotta abnorme, imprevedibile ed esorbitante rispetto al lavoro assegnato e alle direttive impartite.
Cass. (ord.) 05/04/2024 n. 9120

I contributi previdenziali si versano anche sull’indennità sostitutiva delle ferie non godute
Il datore di lavoro è tenuto al pagamento dei contributi previdenziali sull’indennità economica sostitutiva delle ferie maturate e non godute. L’indennità sostitutiva mantiene la sua natura retributiva, perché si pone in rapporto di corrispettività con la prestazione lavorativa resa dal lavoratore nei giorni in cui avrebbe dovuto usufruire delle ferie. È ben vero che l’indennità economica per le ferie maturate e non godute ha anche una funzione risarcitoria, che compensa il disagio patito dal lavoratore per avere perduto il riposo e la possibilità di recuperare le energie psico-fisiche, ma questa condizione non fa venir meno il concorrente profilo retributivo dell’indennità stessa. L’indennità sostitutiva delle ferie ha, infatti, natura mista risarcitoria e retributiva. La componente retributiva dell’indennità impone al datore di versare i contributi previdenziali sul relativo importo.
Cass. (ord.) 04/04/2024 n. 9009

Indennità di mensa e computabilità nel TFR
L’indennità di mensa non deve essere computata nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto, in quanto non ha natura retributiva. A tal proposito, il Decreto-Legge n. 333/1992 (art. 6) ha previsto che il valore del servizio mensa e l’importo della prestazione sostitutiva percepita dal soggetto che non usufruisce del relativo servizio aziendale non facciano parte a nessun effetto della retribuzione connessa al rapporto di lavoro. Fa eccezione a questa regola il caso in cui l’incidenza dell’indennità mensa nel trattamento di fine rapporto sia prevista da una disposizione del contratto collettivo applicato dal datore di lavoro. La previsione del contratto collettivo agisce come trattamento di miglior favore per i lavoratori beneficiari, ai quali compete, dunque, il calcolo dell’indennità di mensa nella determinazione del TFR.
Cass. (ord.) 18/03/2024 n. 7181

Archiviazione della querela e licenziamento per giusta causa
Anche se la querela presentata dagli operai per denunciare atti di vessazione e violenza privata dei superiori viene archiviata, non per questa sola ragione il licenziamento irrogato nei loro confronti può considerarsi valido. Il datore di lavoro è tenuto a provare che la denuncia è stata formulata dagli operai nella consapevolezza della innocenza dei superiori denunciati e della falsità dei fatti. Se manca la prova della calunnia, il cui onere ricade interamente sul datore di lavoro, non si può pervenire alla conclusione che il diritto di denuncia sia stato esercitato in mala fede. La mera archiviazione della querela in sede penale non è sufficiente per suffragare la tesi datoriale che la querela era stata presentata dagli operai come ritorsione per il mancato accoglimento delle loro rivendicazioni. Alla illegittimità del licenziamento conseguono la reintegrazione in servizio e il versamento delle retribuzioni per l’intervallo non lavorato (fino ad un massimo di dodici mensilità).
Trib. Viterbo, Giudice Ianigro, 07/02/2024

Invito scritto a riprendere servizio dopo ordine giudiziale di reintegra
L’art. 18, comma 3, Legge 300/1970 stabilisce che, a seguito dell’ordine giudiziale di reintegrazione, il lavoratore abbia 30 giorni per decidere se riprendere servizio o esercitare l’opzione per l’indennità sostitutiva di 15 mensilità della retribuzione. Nel caso in cui, in adempimento dell’ordine giudiziale, il datore di lavoro invii comunicazione scritta al lavoratore di riprendere servizio in una data anteriore allo scadere dei 30 giorni, se il lavoratore non vi adempie il rapporto si risolve di diritto solo allo scadere del trentesimo giorno. La norma non impone, infatti, al datore di lavoro di fissare un termine di 30 giorni al lavoratore per fare rientro sul posto di lavoro e può, invece, indicare una data fissa anteriore, con l’unico onere di pagare la retribuzione fino allo scadere del termine di 30 giorni. È escluso, invece, che dalla comunicazione datoriale di rientro in una data anteriore allo scadere del trentesimo giorno possa derivare la nullità dell’invito datoriale scritto. Ne deriva che la pretesa del lavoratore di ricevere, a titolo risarcitorio, il pagamento delle retribuzioni mensili oltre il trentesimo giorno dalla comunicazione scritta datoriale è priva di fondamento.
Cass. (ord.) 05/02/2024 n. 3264

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