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Aggiornamenti settimanali sul Diritto del Lavoro in Italia1 February 2024

WEEKLY ITALIAN LABOUR UPDATES

"Gli accordi aziendali consentono di regolamentare la settimana lavorativa ridotta."

Contestata a OpenAI la violazione della normativa sul trattamento dati
Il Garante Italiano per la Protezione dei dati personali ha notificato a OpenAI – creatore e gestore dell’intelligenza artificiale “ChatGPT” – un atto di contestazione per violazione della normativa in materia di protezione dei dati personali. Con provvedimento n. 114 dell’11 aprile 2023, il Garante aveva ingiunto a OpenAI di adottare una serie di misure volte a ricondurre il trattamento dei dati relativo a ChatGPT al rispetto della normativa sulla protezione dei dati personali, tra cui: la predisposizione di un’informativa chiara e trasparente, l’attivazione di strumenti che consentano agli interessati di opporsi ai trattamenti finalizzati all’addestramento degli algoritmi che formano l’intelligenza artificiale, l’implementazione di sistemi per la correzione o cancellazione di informazioni o contenuti falsi generati dall’intelligenza artificiale, l’implementazione di un blocco all’accesso a ChatGPT da parte di soggetti minorenni e un sistema efficace per la verifica dell’età dell’utente, nonché la promozione di una campagna d’informazione sul funzionamento e sui rischi derivanti dai sistemi di intelligenza artificiale. All’esito degli accertamenti svolti, il Garante ha ritenuto che ChatGPT potrebbe violare diverse disposizioni poste a protezione dei dati personali. L’atto di contestazione non è stato pubblicato e OpenAI avrà 30 giorni per comunicare le proprie memorie difensive in merito alle violazioni contestate.
Garante per la Protezione dei Dati Personali, atto di contestazione 29/01/2024

Lavorazioni in appalto negli ambienti sospetti di inquinamento
Negli appalti per l’esecuzione di lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati i contratti di lavoro degli operatori dell’impresa appaltatrice devono essere certificati. Oltre all’adempimento delle varie prescrizioni in materia di sicurezza (valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria, etc.), le imprese devono avvalersi esclusivamente di lavoratori in possesso di specifici requisiti. Tra questi requisiti sono ricompresi l’utilizzo sull’appalto di non meno del 30% di personale con esperienza almeno triennale nell’attività lavorativa in ambienti sospetti di inquinamento. L’Ispettorato del Lavoro ha chiarito che, se il personale impiegato sull’appalto è assunto dall’impresa appaltatrice con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, non è necessaria la procedura di certificazione. Se, invece, l’appaltatrice si avvale di lavoratori con diverse tipologie contrattuali (quindi, non sono dipendenti a tempo indeterminato, ma anche lavoratori autonomi o assunti a termine) la certificazione è sempre necessaria ed essa non si concentra unicamente sui requisiti di esperienza nello specifico settore, ma ricomprende la verifica sui trattamenti retributivi e normativi applicati ai lavoratori.
Ispettorato Nazionale del Lavoro, Nota 24/01/2024 n. 694

Legittimo intimare un secondo licenziamento fondato su ragioni diverse dal primo licenziamento
È legittima la intimazione al dipendente (già licenziato) di un secondo licenziamento che riposa su ragioni differenti dal primo recesso datoriale, benché vada confermato che il secondo licenziamento è destinato a non produrre effetti nel caso in cui il primo licenziamento non sia caducato. Il nesso di diritto sostanziale tra i due licenziamenti cessa quando interviene una pronuncia definitiva sul primo recesso datoriale, determinandosi uno dei seguenti scenari: se il primo licenziamento è annullato, il secondo licenziamento produce i suoi effetti espulsivi, mentre in caso contrario (ovvero, il primo licenziamento è dichiarato legittimo) il secondo licenziamento risulterà definitivamente inefficace. Tra i due licenziamenti sopravvive un tratto di autonomia, per cui l’inefficacia del secondo recesso datoriale non può essere pronunciata se rispetto al primo licenziamento non si è formata una sentenza giudiziale di rigetto definitiva.
Cass. 23/01/2024 n. 2274

Il dipendente non ha diritto all’indennità sostitutiva della mancata fornitura degli abiti di servizio
Laddove il datore di lavoro non fornisca al proprio dipendente, agente della polizia municipale, la divisa da utilizzare in servizio, quest’ultimo non ha diritto a “un’indennità sostitutiva della fornitura degli indumenti di servizio”, se non previsto dalle norme di legge o della contrattazione collettiva applicabili al rapporto di lavoro. Peraltro, il dipendente, che domandi al datore di lavoro il risarcimento dei danni all’immagine ed alla dignità personale e professionale cagionati dallo svolgimento del servizio in abiti civili, deve provare in giudizio di aver effettivamente subito un danno causato dalla mancata fornitura della divisa e, inoltre, deve dimostrare la quantificazione economica di tale danno.
Cass. 23/01/2024 n. 2261

Indennità per congedo di maternità anche in assenza di idonea documentazione
L’Inps ha chiarito che l’indennità per il congedo di maternità è un diritto indisponibile della lavoratrice e deve essere riconosciuta anche nel caso in cui il medico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) non abbia adempiuto all’obbligo di trasmissione telematica del certificato medico indicante la data presunta del parto. In particolare, l’Inps ha fornito le seguenti indicazioni per gestire correttamente le domande di maternità in assenza di idonea documentazione:
(i) qualora sia presentata domanda di congedo di maternità senza invio telematico del certificato di gravidanza, tale certificato può essere richiesto solo prima della nascita del minore. Dopo il parto non è più possibile inserire il certificato telematico di gravidanza;
(ii) qualora la lavoratrice abbia inviato un certificato di gravidanza in formato cartaceo, rilasciato da un medico del SSN o con esso convenzionato, è possibile utilizzare la data presunta del parto indicata nell’originale cartaceo del certificato;
(iii) nell’ipotesi in cui non sia stato trasmesso alcun certificato di gravidanza, ma sia stata disposta l’interdizione anticipata della lavoratrice con provvedimento rilasciato da una struttura pubblica del SSN, è possibile utilizzare la data presunta del parto riportata nel provvedimento;
(iv) nel caso, infine, di totale assenza della documentazione sopra menzionata, il periodo di congedo di maternità può essere determinato computando i due mesi “ante partum” a ritroso dalla data effettiva del parto tramite verifica sulla piattaforma cd. “ConsANPR” per la consultazione dell’anagrafe nazionale.
INPS, Messaggio 22/01/2024 n. 287

Licenziamento per inidoneità totale alla mansione e recupero dello stato di salute
È illegittimo il licenziamento intimato per totale inidoneità lavorativa accertata dalla competente Commissione medica, se la lavoratrice, prima che venisse comunicato il recesso, aveva risolto le problematiche psichiche alla base dell’accertamento sanitario di inidoneità. La circostanza che la lavoratrice non avesse presentato opposizione al giudizio di totale inidoneità lavorativa reso dalla Commissione medica non costituisce acquiescenza, espressa o tacita, al licenziamento successivamente adottato dal datore di lavoro. Posto che la totale inidoneità lavorativa diagnosticata in origine non permaneva quando, a distanza di tempo, è stato intimato il licenziamento, la lavoratrice ha pieno titolo per impugnare l’atto di recesso datoriale. Il venir meno delle condizioni di inidoneità prevale sull’accertamento precedentemente reso dalla Commissione medica e comporta l’annullamento del licenziamento, con reintegrazione sul posto di lavoro e versamento delle retribuzioni mensili medio tempore maturate.
Cass. 17/01/2024 n. 1794

Legittimo il licenziamento se la dipendente in malattia svolge un’altra attività
È legittimo il licenziamento della dipendente che durante la malattia ha svolto un’altra attività altrove. La condotta della dipendente è indice di scorrettezza e mala fede, ledendo il vincolo fiduciario alla base del rapporto. Inoltre, con tale condotta la lavoratrice viola i doveri di cura e sollecita guarigione, in quanto lo svolgimento di un’attività alternativa durante il periodo di malattia ritarda il recupero delle condizioni di salute, ostacolando la ripresa del posto di lavoro. È, dunque, legittimo il licenziamento disciplinare irrogato alla dipendente per lo svolgimento di un’altra attività durante la malattia ed è irrilevante che subito dopo la dipendente fosse rientrata in servizio.
Cass. (ord.) 15/01/2024 n. 1472

Minaccia grave verso il superiore e giusta causa di licenziamento
Le accuse pronunciate dalla lavoratrice in presenza dei colleghi per cui la responsabile aziendale vendeva merce di altri marchi non presenti nel catalogo dei prodotti aziendali, accompagnate da affermazioni quali “ce l’ho in pugno” e “ho vinto, ho vinto”, integrano gli estremi della minaccia grave, da intendersi quale prospettazione di voler arrecare un danno ingiusto ad un superiore. Essendosi rivelate le accuse infondate, le affermazioni della lavoratrice sono anche una manifestazione di insubordinazione, che ricomprende qualsiasi comportamento idoneo a pregiudicare il corretto svolgimento delle disposizioni impartite nel quadro dell’organizzazione aziendale. È giustificata l’irrogazione del licenziamento senza preavviso, posto che le affermazioni della lavoratrice sono indice di irreparabile lesione del vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro.
Cass. (ord.) 16/01/2024 n. 1686

Accesso del lavoratore alla pensione e inadempimento datoriale dell’ordine di reintegrazione
Se la sentenza di reintegrazione è rimasta ineseguita e il lavoratore, nel frattempo, è stato collocato in pensione, a quest’ultimo non competono le retribuzioni mensili maturate nel periodo successivo all’accesso alla pensione. La presentazione della domanda di pensione di vecchiaia ed il suo conseguimento da parte del lavoratore sono fatti ostativi alla reintegrazione, in quanto determinano la risoluzione del rapporto di lavoro per volontà dello stesso lavoratore. La collocazione in pensione del lavoratore ha fatto venir meno la possibilità di ricostituzione del rapporto, ragion per cui al datore di lavoro non può essere ascritta una responsabilità per la mancata reintegrazione in servizio del lavoratore, nel frattempo pensionato, quale effetto della sentenza che aveva annullato il licenziamento precedentemente irrogato.
Corte d’Appello Catanzaro 14/11/2023 n. 1296