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Aggiornamenti settimanali sul Diritto del Lavoro in Italia19 October 2023

WEEKLY ITALIAN LABOUR UPDATES

"Prima di attivare in azienda il canale di whistleblowing è necessario informare le organizzazioni sindacali."

Valida l’impugnazione del licenziamento non firmata digitalmente
È valida l’impugnazione del licenziamento che sia trasmessa tramite copia informatica priva di firma digitale, estratta per immagine dell’originale analogico sottoscritto dal lavoratore e dal suo difensore, e allegata a un messaggio PEC inviato al datore di lavoro dall’indirizzo di posta elettronica certificata dell’avvocato, indicando nell’oggetto del messaggio che si tratta dell’impugnazione del licenziamento proveniente dal lavoratore. La Legge (art. 6, L. n. 604/1966) riconosce, infatti, margini di libertà nella forma dell’atto di impugnazione del recesso, prevedendo solamente che questo debba avvenire con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore. Pertanto, l’impugnazione del licenziamento è valida purché la volontà di contestare la validità ed efficacia del licenziamento venga manifestata al datore di lavoro per iscritto e tale espressione di volontà sia riferibile al lavoratore. Non è prescritto che il lavoratore debba rispettare particolari formalità ulteriori (sia con riferimento alla forma dell’impugnazione che alla terminologia utilizzata). In applicazione di tali principi, è stata ritenuta valida anche l’impugnazione comunicata tramite telegramma, fax, telefax, e-mail e, perfino, sms.
Trib. Roma, Giudice Redavid, 20/10/2023 n. 19610

Inutilizzabili le indagini investigative senza incarico scritto
Nel mandato che il datore di lavoro conferisce all’agenzia investigativa deve essere indicato il nominativo dei soggetti che in concreto sono incaricati di eseguire l’indagine, in quanto tale indicazione costituisce requisito di validità e di liceità delle indagini promosse a fronte del sospetto di un illecito a carico del lavoratore. Gli esiti delle indagini investigative promosse nei confronti del lavoratore, di cui il datore abbia il fondato sospetto che sia stato compiuto o possa essere realizzato un comportamento illecito, sono inutilizzabili se il soggetto che ha materialmente svolto l’investigazione non era stato previamente individuato nell’incarico conferito all’agenzia. A tale conclusione conduce, tra l’altro, il Codice Privacy (art. 11, D. Lgs. n. 196/2003) che prevede l’inutilizzabilità dei dati raccolti da soggetti non legittimati a farlo e nello stesso senso si muovono alcuni provvedimenti del Garante della privacy per cui l’investigatore privato non può compiere indagini in assenza di un apposito incarico scritto.
Cass. 11/10/2023 n. 28378

Accordi di prossimità efficaci solo se sono rispettate le condizioni di legge
Il mancato rispetto dei modi di approvazione degli accordi di prossimità, così come previsti dalla legge, non può essere sostituito dalla volontà direttamente espressa dai lavoratori. Gli accordi di prossimità sono “intese” collettive stipulate a livello aziendale o territoriale che consentono di derogare, anche in senso peggiorativo, alle norme di legge o di contratto collettivo e che spiegano la loro efficacia nei confronti di tutti i lavoratori (dell’azienda o del territorio al quale siano applicabili). L’efficacia degli accordi di prossimità è rafforzata dal fatto che, a differenza degli altri accordi collettivi, essi sfuggono al “meccanismo del dissenso” eventualmente espresso dai lavoratori o dalle organizzazioni sindacali. In ragione dell’attitudine derogatoria e dell’efficacia rafforzata degli accordi di prossimità, la legge sottopone la loro validità alla garanzia di una serie di condizioni tassative (il requisito di rappresentatività delle parti sociali stipulanti, il rispetto di un criterio maggioritario per la loro approvazione, l’esistenza di uno degli scopi specificamente previsti dalla legge e la regolamentazione di specifiche materie anch’esse individuate dalla legge) che non possono essere sostituite neppure dalla volontà dei singoli lavoratori.
Cass. 02/10/2023 n. 27806

Chiarimenti Inps sul Fondo di trasporto e accesso delle micro-imprese private
L’Inps ha fornito chiarimenti sull’accesso al Fondo bilaterale per il sostegno al reddito del personale delle aziende di trasporto pubblico, sulla scorta delle novità disposte dal Decreto interministeriale 29/08/2023 (in vigore dal 17 ottobre 2023). Accedono al Fondo tutte le aziende di trasporto, non solo pubbliche, ma anche private, a prescindere dal numero dei dipendenti occupati, in caso di sospensione o riduzione dell’attività (per le causali previste dai trattamenti di integrazione salariale ordinaria e straordinaria). L’eliminazione del livello occupazionale consentirà anche alle micro-imprese di trasporto privato (che occupano non più di cinque dipendenti) di accedere all’assegno di integrazione salariale (per le causali ordinarie e straordinarie) in relazione a periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa con decorrenza dal 2 ottobre 2023.
INPS, Messaggio 10/10/2023 n. 3548

Notifica per compiuta giacenza e mancata sospensione dell’attività aziendale
È penalmente responsabile il datore di lavoro che, a seguito di un accesso della polizia nei locali aziendali dove viene trovato personale in nero, non dispone l’interruzione della propria attività d’impresa in esecuzione del provvedimento di sospensione notificato per compiuta giacenza. La notifica della raccomandata con il provvedimento di sospensione all’indirizzo aziendale si considera perfezionata per compiuta giacenza se il datore di lavoro non ritira l’atto all’ufficio postale. La circostanza che la raccomandata non sia stata ritirata ricade nella sfera di responsabilità del datore e la sua omissione non impedisce il perfezionamento della notifica. Su tale presupposto, è stata confermata l’ammenda nei confronti del datore che non aveva interrotto la propria attività a seguito dell’accesso della polizia e del successivo provvedimento di sospensione.
Cass., sez. penale, 16/10/2023 n. 41873

Trasferimento di sede e accesso alla Naspi a seguito di dimissioni
Per l’accesso alla Naspi in caso di trasferimento della sede di lavoro ad oltre 50 Km dalla residenza del lavoratore, o di almeno 80 minuti di tempo viaggio con i mezzi pubblici, sono sufficienti le dimissioni. La tesi dell’Inps che subordina il riconoscimento della prestazione di disoccupazione alla pronuncia giudiziale di illegittimità del trasferimento non merita accoglimento. Il dato dirimente al ricorrere del quale compete il trattamento della Naspi è la perdita involontaria dell’occupazione e tale condizione si realizza, senza alcun dubbio, quando il lavoratore si determini a dare le dimissioni perché la distanza della nuova sede di lavoro rende “materialmente impossibile” o “estremamente disagevole” la prosecuzione del rapporto a causa dei costi economici e dei tempi di percorrenza associati agli spostamenti casa/lavoro.
Corte d’Appello Firenze, 29/09/2023 n. 258

Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e responsabilità per infortunio mortale
In materia di sicurezza e tutela della salute sui luoghi di lavoro, al Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (“RLS”) è riservato un ruolo centrale, trattandosi di un’essenziale figura di raccordo tra il datore di lavoro e i lavoratori, cui compete, tra l’altro, di facilitare il flusso di informazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Allo RLS compete di promuovere ed attuare misure di prevenzioni funzionali alla tutela contro il rischio di incidenti e in tale ambito ricade anche l’obbligo di avvertire il responsabile aziendale in presenza di rischi individuati nella sua attività. Se tali funzioni sono state disattese da parte del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e risulta accertato che egli non abbia ottemperato in alcun modo ai compiti attribuitigli per legge (ovvero ex art. 50 D.Lgs. n. 81/2008), l’RLS è responsabile, in concorso con il datore di lavoro, per l’infortunio mortale del lavoratore.
Cass. 25/09/2023 n. 38914

Retribuzione del tempo tuta
L’obbligo di retribuire il “tempo tuta” sussiste anche in assenza di specifiche direttive aziendali che regolassero l’indossamento, la svestizione e la custodia della divisa da utilizzare nei locali aziendali, ovvero di ulteriori esigenze di igiene attinenti alla natura della prestazione lavorativa, laddove emerga che il datore abbia, comunque, imposto ai lavoratori l’uso di una divisa aziendale per ragioni di sicurezza o di mera riconoscibilità dei dipendenti. L’imposizione della divisa aziendale per lo svolgimento della prestazione lavorativa si risolve nel fatto di imporre ai lavoratori talune attività preparatorie di indossamento e successive di svestizione che non possono rientrare nel tempo di lavoro regolarmente retribuito. Né rileva che i lavoratori potessero effettuare le operazioni di indossamento e svestizione della divida aziendale a casa, in quanto tale circostanza è contraria alla dignità dei lavoratori. Nel tragitto casa/lavoro i lavoratori devono poter indossare abiti civili, corrispondenti al proprio gusto individuale o alle proprie contingenti esigenze. Pertanto, anche il tempo necessario per le operazioni di indossamento della divisa e di svestizione e posizionamento della divisa nell’armadietto nei locali aziendali deve essere retribuito dal datore di lavoro.
Trib. Milano, Giudice Molinari, 04/07/2023

Fatto materiale contestato privo di rilievo disciplinare e ordine di reintegrazione
Rientra nella fattispecie della “insussistenza del fatto” contestato alla base del licenziamento per giusta causa non solo il caso in cui il fatto non si sia verificato sul piano materiale, ma anche il caso in cui il fatto, materialmente accaduto, sia privo di sostanziale rilievo disciplinare. In applicazione di questo principio è stato annullato il licenziamento della dipendente che aveva avvisato dell’assenza per malattia il capo turno, omettendo tuttavia di avvisare il superiore gerarchico a cui, secondo quanto previsto dal protocollo aziendale, avrebbe dovuto essere comunicata l’astensione dal lavoro. La comunicazione dell’assenza era comunque intervenuta, seppure non al soggetto interno deputato a riceverla, e la società non aveva sofferto alcun danno da tale omissione. Per queste ragioni nella condotta contestata alla dipendente non è stato ravvisato alcun illecito o fatto giuridicamente apprezzabile sul piano disciplinare. All’annullamento del licenziamento si è accompagnato l’ordine di reintegrazione sul posto di lavoro e il pagamento delle mensilità maturate nel periodo non lavorato.
Trib. Trieste, 01/09/2023 n. 136