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Aggiornamenti settimanali sul Diritto del Lavoro in Italia12 October 2023

WEEKLY ITALIAN LABOUR UPDATES

"Per determinare la 'giusta retribuzione', il riferimento corretto è al trattamento economico complessivo."

Lo straordinario rientra nella retribuzione del periodo di ferie
La norma di fonte collettiva che escluda la voce straordinario dalla “normale” retribuzione spettante ai lavoratori durante il periodo di ferie è illegittima, ponendosi in contrasto con i principi di proporzionalità e adeguatezza della retribuzione fissati nell’art. 36 della Costituzione. Se il lavoratore in costanza di rapporto percepisce con regolarità lo straordinario per le ore aggiuntive all’orario standard contrattuale, anche tale voce deve essere ricompresa nella retribuzione cui i lavoratori hanno diritto durante i giorni di ferie. Il contratto collettivo nazionale di lavoro che escluda la voce dello straordinario dalla normale retribuzione del periodo di ferie deve essere, pertanto, disapplicata ed al lavoratore compete il pagamento delle relative differenze retributive.
Cass. 10/10/2023 n. 28320

Sistema di geolocalizzazione e diritto dei lavoratori alle informazioni
Il datore di lavoro che non comunica ai lavoratori, i quali ne abbiano fatto richiesta, le modalità di elaborazione dei dati di geolocalizzazione compie un illecito e viola la normativa sulla privacy. I lavoratori hanno diritto di conoscere i dati utilizzati dal datore di lavoro tramite il sistema di geolocalizzazione per elaborare i rimborsi chilometrici e la retribuzione oraria. Se, pertanto, i lavoratori ne fanno richiesta, il datore ha l’obbligo di informare in modo specifico i lavoratori sui dati raccolti attraverso la geolocalizzazione, comunicando i dati sulle specifiche rilevazioni effettuate e le coordinate geografiche utilizzate dal Gps dello smartphone in dotazione ai lavoratori. La rilevazione del Gps comporta la geolocalizzazione dei lavoratori e, costituisce un trattamento di dati personali che ricade nella disciplina in materia di privacy.
Garante della Privacy, Newsletter 10/10/2023

Contratti a termine: indicazioni applicative del Ministero del Lavoro
Il Ministero del Lavoro ha fornito indicazioni applicative sulle novità più significative in materia di contratti a termine introdotte dal c.d. “Decreto Lavoro”. Il Ministero precisa che i contratti collettivi legittimati a individuare le causali sono esclusivamente quelli stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dalle loro RSA/RSU. Quanto ai contratti collettivi preesistenti, sono contemplate le seguenti casistiche: (i) se il contratto collettivo si riferisce a causali abrogate, esse sono implicitamente disapplicate e le parti potranno definire le causali nel contratto individuale di lavoro; (ii) se il contratto collettivo individua le causali in attuazione del Decreto Sostegni-bis, posto che la relativa disciplina è sostanzialmente coincidente con le nuove regole, esse continuano ad applicarsi. Se i contratti collettivi applicati in azienda non abbiano introdotto alcuna causale, il datore di lavoro e il lavoratore potranno individuarle autonomamente all’interno del contratto individuale, ma ciò sarà possibile solo fino al 30 aprile 2024. A tal proposito, si chiarisce che tale termine è riferito alla data di stipula del contratto individuale e non alla sua durata, che ben potrà andare oltre il 30 aprile 2024 per effetto delle causali definite con pattuizione individuale. Di particolare rilievo pratico è la precisazione che, ai fini del raggiungimento del limite massimo di 12 mesi in cui è possibile ricorrere al contratto a termine senza causali, si tiene conto solamente dei contratti di lavoro stipulati a decorrere dal 5 maggio 2023, mentre eventuali rapporti di lavoro intercorsi tra le medesime parti prima di tale data non dovranno essere computati. In ogni caso, anche in tale ipotesi occorrerà rispettare il limite massimo di durata del contratto a termine previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva applicabile. Infine, ai fini del rispetto del limite del 20% per il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, non si computano i lavoratori somministrati assunti dall’agenzia di somministrazione con contratto di apprendistato e alcune categorie di lavoratori svantaggiati.
Circolare Ministero del Lavoro, 09/10/2023 n. 9

Indennità di vacanza contrattuale e obbligo tra più datori di lavoro
L’indennità di vacanza contrattuale è strutturalmente correlata all’effettuazione della prestazione lavorativa e, quindi, deve essere corrisposta proporzionalmente da tutti i datori di lavoro che hanno fruito del lavoro del dipendente nel periodo di vacanza contrattuale (al quale l’indennità medesima è riferita). Infatti, tale indennità ha la funzione di assicurare un parziale recupero del potere di acquisto del dipendente rispetto all’aumento del costo della vita con riferimento al periodo di mancato rinnovo del contratto collettivo (e, quindi, al mancato adeguamento dei minimi retributivi). L’imputazione dell’indennità di vacanza contrattuale a carico del datore di lavoro che ha fruito delle prestazioni si giustifica con i possibili vantaggi economici che questi ha tratto dalla prestazione lavorativa ricevuta. Pertanto, il pagamento dell’indennità di vacanza contrattuale non può essere interamente posto a carico del datore di lavoro presso il quale sia impiegato il lavoratore al momento del rinnovo del CCNL, a meno che ciò non sia espressamente previsto dalla pattuizione collettiva che introduce l’indennità medesima.
Cass. (ord.), 06/10/2023 n. 28186

Ingiustificata l’assenza del dipendente inidoneo alle mansioni
Il lavoratore di cui sia stata accertata dal medico competente aziendale la permanente non idoneità alle mansioni di operatore ecologico non può, per ciò stesso, rimanere assente in attesa che il datore di lavoro lo destini a nuove mansioni compatibili con il proprio stato di salute. L’attesa di disposizioni datoriali da parte del lavoratore configura, in tal caso, un’assenza ingiustificata. Il lavoratore ha, infatti, il dovere di presentarsi in azienda e mettersi a disposizione del datore di lavoro, attendendo che sia quest’ultimo a istruirlo sui nuovi compiti. Il lavoratore che si limiti ad attendere di essere richiamato in azienda per svolgere nuove mansioni compatibili con le ridotte capacità lavorative residuate a causa della sopravvenuta inidoneità alle precedenti mansioni è responsabile di assenza ingiustificata. È pertanto legittimo il licenziamento per giusta causa irrigato dal datore di lavoro.
Trib. Cosenza, 28/09/2023 n. 1357

Dimissioni legittime solo se rese telematicamente
Dall’entrata in vigore del D.gls. n. 151/2015, il rapporto di lavoro può essere risolto per dimissioni solamente previa adozione di specifiche modalità formali (modalità telematica su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali), a pena di inefficacia dell’atto risolutivo. In applicazione di tale principio, le dimissioni assoggettate alla disciplina del D.lgs. n. 151/2015 sono sottratte al criterio della libertà delle forme per il recesso del lavoratore dettato dall’art. 2118 c.c. e, pertanto, la loro validità presuppone necessariamente l’adempimento delle formalità previste dalla legge.
Cass. (ord.), 26/09/2023 n. 27331

Risarcimento dei danni a carico del dipendente anche in assenza di sanzione disciplinare
La violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza da parte di un dipendente può comportare, oltre all’applicabilità delle sanzioni disciplinari, anche l’insorgere del diritto al risarcimento dei danni in favore del datore di lavoro. In tale ipotesi, l’azione disciplinare e l’azione di risarcimento del danno, anche se fondate sui medesimi fatti, sono del tutto autonome e indipendenti l’una dall’altra. In applicazione di questo principio, la decisione del datore di lavoro di non far conseguire una sanzione disciplinare alla contestazione dei medesimi fatti sui quali si fonda la domanda di risarcimento del danno non può incidere sull’esito di quest’ultima, in quanto essa è volta a tutelare un interesse (il ripristino di una situazione patrimoniale lesa dal comportamento del dipendente) diverso rispetto a quello tutelato dall’esercizio del potere disciplinare.
Cass. (ord.), 04/10/2023 n. 27940

Nullità del patto di prova e reintegrazione in servizio
Il licenziamento per mancato superamento della prova, nell’ipotesi in cui sia stata accertata la nullità del patto di prova, si configura come un licenziamento individuale non distinguibile da ogni altro licenziamento. Sulla scorta di ciò, il vizio che affligge il recesso esercitato dal datore di lavoro non è riconducibile alla radicale insussistenza del potere di recesso (che invece sussiste), bensì alla circostanza che il mancato superamento della prova non rientra in alcuna delle cause tipiche per le quali può essere intimato il licenziamento (gmo, giusta causa, ecc.). In tale contesto, le conseguenze sanzionatorie variano a seconda che al recesso sia applicabile la Legge Fornero o il Jobs Act. Nel primo caso, al lavoratore spetta la tutela reintegratoria, in quanto il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova può essere ricondotto nella categoria dei licenziamenti viziati dalla “insussistenza del fatto” per i quali il riformato art. 18 Stat. Lav. prevede, in entrambe le fattispecie del licenziamento economico o disciplinare, la tutela reale. Nel secondo caso, invece, è applicabile la sola tutela indennitaria in quanto ai sensi del Jobs Act la tutela reintegratoria è applicabile esclusivamente all’ipotesi di insussistenza del fatto materiale nel licenziamento disciplinare.
Cass. 14/07/2023 n. 20239

Crediti contributivi si prescrivono in cinque anni dall’avviso di addebito Inps
Il termine di prescrizione per i crediti contributivi è fissato dalla legge in cinque anni e si converte nel termine ordinario di prescrizione di dieci anni nel caso in cui il credito venga accertato da un titolo giudiziale passato in giudicato. L’avviso di addebito dell’Inps – che è prodromico e strumentale all’avvio del processo esecutivo – ha natura amministrativa e non giudiziale. Pertanto, l’avviso di addebito non è idoneo a produrre un effetto estensivo del termine di prescrizione applicabile al credito in esso dedotto in quanto non può passare in giudicato. In applicazione di tali principi, se nell’arco dei cinque anni successivi alla notifica dell’avviso di addebito dell’Inps non si procede all’esecuzione forzata o non viene notificato un atto interruttivo della prescrizione, il credito contributivo vantato dall’Inps si estingue.
Trib. Milano, 13/04/2023 n. 1316